1| Una notizia
spiacevole.
Un anno di scuola
all'estero finito. Trecentosessantacinque giorni volati
via come il vento. E finalmente... l'estate!
Io identifico questa stagione come un periodo di
completo relax, di letture in giardino, di passeggiate
lungo i torrenti, di risate e di vacanze. Questo
potrebbe corrispondere all'estate se io non fossi la
sorella di Mauro Cavalieri, l'Ispettore UNESCO stimato e
pieno di responsabilità. Infatti si ripresenta
un'occasione per cacciarmi nei guai. Io, Lisi, cittadina
romana e molto... intraprendente. Fin troppo, forse.
Io e mio fratello eravamo in Irlanda per uno scambio
culturale, in cui avevamo passato un anno in casa dei
nostri corrispondenti.
Quel giorno vidi Mauro spalancare gli occhi davanti ad
una scritta a caratteri giganti sul giornale, e fiutai
un'altra avventura mozzafiato.
“Mi ero ripromessa di non lasciarti mai partire da
solo”, gli dissi in tono autoritario “ed infatti non lo
farò. Ma prima sarebbe opportuno sapere cos'è successo
stavolta!”.
Mauro lesse ancora per un po', poi alzò lo sguardo e mi
comunicò che dei reperti archeologici nel Centro Storico
di Roma erano scomparsi. “Il Patrimonio dell' Umanità
italiano è stato rubato. Presso il Centro Storico di
Roma, più precisamente nel Colosseo, erano presenti
reperti archeologici, quali vasi, armi e statue, ora
quasi tutti spariti. Rimasti sono dei frammenti di
spade, di scudi e di arieti, ma ormai il monumento è
quasi completamente spoglio. Non si hanno sospetti, si è
trovato solo un coltellino con un gatto egiziano
intagliato. Ciò non ha rivelato niente alla polizia, che
dichiara di essere in un vicolo cieco. Tocca all' UNESCO
intervenire per salvare il Patrimonio Romano al più
presto.” “Ho già controllato. L' aereo parte tra un
giorno. Per un membro dell'UNESCO sarà facile prenotare.
Pensi che anche questa volta riuscirai a combinare
disastri?”, incalzò mio fratello.
“Non lo escludo” sorrisi io, maliziosa. 'Che bello!'
pensai, 'si torna a Roma!' Ma poi la raccomandazione di
Mauro mi distolse dai miei pensieri.
“Non ti immischiare nella faccenda: potrebbe essere
pericoloso. Me lo prometti?”.
“Te lo prometto” gli risposi.
Ma voi mi conoscete bene, e sapete che io non sono brava
a mantenere le promesse...
2| Incontri
Eravamo in aeroporto,
quando vidi tre uomini correre per i corridoi. “Si
fermi, si fermi! La avverto, potrei ammanettarla in
qualsiasi momento!”.
Un poliziotto con un accento africano stava rincorrendo
un borseggiatore che aveva afferrato il portafoglio di
un uomo. Poi si accorse che lo stavo guardando e mi
rivolse un sorriso smagliante e furbo. “Salve, Pascal
Rahremush, al suo servizio.”
Ricambiai il sorriso ma gli ricordai del ladro che stava
scappando.
“Ah, già, lui. Lui non rappresenta una minaccia per la
comunità. Ecco”, lo raggiunse con sorprendente velocità
e gli sequestrò il portafoglio. “Lei, giovanotta, si
aggira tutta sola in un aeroporto così vasto?”.
Gli spiegai che ero venuta con mio fratello, Ispettore
dell'Unesco. Per un attimo mi sembrò che il suo viso si
facesse scuro, poi prese parola mantenendo la sua
espressione gaia. “E' molto lodevole che suo fratello
così giovane contribuisca a salvare i Patrimoni
dell'Umanità. Anch'io sono venuto qui per questo.” Mi
mostrò il suo distintivo, abbassò il suo cappello blu e
disse, modesto: “Faccio del mio meglio per la pacifica
convivenza ed il salvataggio della nostra cultura.”
Mi sembrò un uomo davvero amante del suo lavoro e gli
strinsi la mano. “Se è così, complimenti: lei svolge un
ottimo lavoro!”.
Il poliziotto sembrò apprezzare il complimento tanto da
scoppiare in grosse risate, il che mi lasciò un po'
perplessa, ma si trattenne e ribatté “Faccio quello che
posso.”
Allora gli feci un cenno con la mano, feci per girarmi
ma inavvertitamente mi scontrai con un ragazzo. “Mi
scusi, io non volevo...” E quale ragazzo?
“Lizzie! Sei proprio tu? Incredibile!” Kieran era
raggiante, e di certo sorpreso quanto me!
“Dove vai?” gli chiesi incuriosita: era da tanto che non
ci vedevamo!
“Al Colosseo.”
“Ci vado anch' io!” Wow, una coincidenza dopo l' altra,
che fortuna!
Kieran mi sorrise, ma poi divenne serio. “Senti,
Lizzie... perché parlavi con quel tizio?” Mi indicò il
poliziotto.
“Beh...” ma allora Mauro mi diede uno strattone.
“Dobbiamo andare o perderemo l'aereo!”
Salutai Kieran ed aggiunsi: “Ci vediamo sull' aereo,
allora! Ciao!”.
Mi salutò con un cenno del capo, ripresi a camminare.
Rivolsi un ultimo sguardo a quel tale Pascal: non mi ero
girata in tempo per vederlo restituire il portafoglio al
signore, evidentemente...
3| Un fatto strano in
aereo
Guardando dal finestrino
dell'aereo, vedevo poche nuvole, perché il tempo era
bello, ma abbracciavano l'aereo in modo da creare
l'atmosfera di un regno incantato. Il regno che potevo
ammirare dal finestrino era sconfinato, davvero regale e
sentii che mi salutava. Se pensate che in Irlanda piova
sempre, vi sbagliate: allora il sole era raggiante, e
con i suoi raggi mi dava un addio pieno di nostalgia. Io
mi sentivo così: avevo molta nostalgia. Ma ripensavo
alla sicurezza che mi dava stare nella mia casetta a
Roma e così mi facevo coraggio.
L'atmosfera era calda e piacevole ed io ero intenta a
leggere un libro, quando un signore ci si avvicinò:
“Lei... lei è Mauro Cavalieri? Ispettore UNESCO? Faccia
qualcosa!”.
Mauro guardò l'ometto con aria stupita e gli chiese
“Cosa la turba?”.
“Faccia qualcosa, la prego!”.
Mauro pensò che fosse uno scherzo e fece un gesto di
noncuranza all'uomo. A me però la faccenda suonò strana:
come era possibile che quell'uomo non avesse minimamente
pensato di rivolgersi a Pascal Rahremush, il poliziotto
che si era dimostrato tanto gentile con me? Strano.
Troppe stranezze. E quando ci sono stranezze e
coincidenze, c'è anche Elisabetta Cavalieri, la
sottoscritta. Ragionai sulla promessa che avevo fatto a
Mauro: beh, la faccenda non sembrava tanto pericolosa,
quindi non c'era motivo di stare alla larga. Era deciso:
avrei indagato. Ma non c'erano abbastanza fatti strani
e\o preoccupanti e non avevo uno straccio di indizio che
mi portasse a qualche remota conclusione! Ma li avrei
trovati. Non da sola, avrei avuto l'aiuto del mio amico
Kieran. In fondo, non c'è niente di male nell'avere un
aiutante, per un detective. Come Holmes e Watson. Ma se
volevo veramente risolvere questo caso, non dovevo
perdere di vista molte persone: Kieran, Rahremush,
l'ometto, il ladruncolo di prima... insomma, non avevo
tempo da perdere: ogni momento era buono per indagare.
Nel preciso istante in cui mi sporsi per controllare se
avevo letto bene sul giornale di Mauro, cioè che il
coltellino egiziano era sparito, vidi l'ometto
imbavagliato e una mano che lo spingeva dentro alla
cabina di controllo. Non riuscii a vedere chi lo spinse
lì dentro. Forse l'uomo aveva commesso qualche furto, o
forse aveva infastidito il suo vicino di volo, ma mi
sembrava una maniera troppo brutale per ammonirlo. Non
potevo far finta di non aver visto: andai dalla hostess
e le chiesi se avesse visto quello che era appena
successo.
“Io non ho visto niente”, disse fissando la cabina del
guidatore. “Gradisce qualche sacchetto per eventuale mal
di stomaco? Ricordi che il giubbetto di salvataggio si
trova sotto al sedile. Sarà opportuno che se lei avverte
qualche disturbo allo stomaco prenda il sacchetto...”.
“Signorina, con tutto il rispetto, secondo me lei ha
visto quello che ho visto io!”, sbottai, mantenendo però
un tono educato.
“Lei cosa ha visto?”, lo disse con un tono un po'
ingenuo, un po' nervoso, un po' sfidante.
“Io ho visto un uomo che entrava nella cabina di
controllo spinto da una mano...”.
La hostess mi guardò come se stesse davanti ad una pazza
scatenata. “Io credo che questo non possa essere
possibile. Nessuno ha accesso alla cabina del guidatore.
Sarebbe pericoloso. Perciò, nessuno ha il permesso di
entrarci.”
Ora sembrava davvero seccata. Certo che era testarda! Io
l' avevo visto, non c' era dubbio! E, non so perché, mi
sembrava che questo fatto avesse a che fare con il
caso... Così, ribattei: “Senta, signorina, io difendo
questa idea per la sicurezza dell' aereo! Ci può essere
qualche malintenzionato qui, ed io sostengo la mia tesi
proprio per evitare questo! La prego, mi ascolti, io
sono qui per questo!”.
Io mi mantenni pacata, ma fu lei a sbottare questa
volta. “Sa, per questo c'è il personale. Questo è il mio
lavoro, ed io lo voglio svolgere con assoluta
tranquillità, senza interruzioni inopportune. E
sinceramente, credo proprio che lei abbia avuto un'
allucinazione.”
Stavo per risponderle, quando Mauro mi ammonì con un
gesto della mano, allora pensai 'Ci manca solo il
battibecco con la hostess!', per questo rinunciai a
risponderle a tono, e dissi, un po' forzata: “Grazie.
Forse ho avuto un' allucinazione.”
Assurdo. Troppe cose assurde. Ed eravamo solo in aereo,
non volevo neanche immaginare cosa sarebbe potuto
succedere a Roma!
4| Finalmente un indizio!
Stavo leggendo il mio
libro quando il mio sguardo si posò su un angolo del
sedile. Mi sporsi e vidi nientedimeno che... il
coltellino egiziano! Non poteva essere una coincidenza.
Questo coltello mi avrebbe rivelato molte cose sul
ladro. Punto primo: probabilmente era anche un
assassino; punto secondo: si trovava in questo aereo.
“Beh, finora solo questo, ma è già qualcosa...” dissi ad
alta voce.
Tutti mi guardarono. Ok, un'altra cosa che dovevo fare
era tenere l'indagine segreta, a tutti e soprattutto a
mio fratello, che già mi guardava storto. “Il libro è
molto appassionante, mi sembra di esserne la
protagonista!” incalzai.
“Fingo di crederti.”, si girò e continuò a leggere il
suo giornale. Non credo che si fosse accorto di
qualcosa.
“Allacciare le cinture di sicurezza, prego. Fasten your
seat belts, please”, gracchiò una voce metallica. Era il
momento dell'atterraggio. Fu regolare. Il guidatore non
dovette affrontare particolari turbolenze, e atterrammo
velocemente. Meglio, avrei risparmiato tempo. Ne serviva
molto per le nostre indagini. Ricapitoliamo: coltellino
egizio, modello unico, indagine segreta, ladro in questo
aereo. Grazie a queste riflessioni rischiavo di restare
in aereo! Non mi muovevo dal sedile mentre la voce
intimava di scendere. Solo dopo il leggero pizzicotto di
mio fratello mi “svegliai” e scesi dall'aereo.
“Speriamo che il viaggio sia stato di vostro gradimento”
mi disse la hostess. “Grazie mille, lo è stato,
hostess-che-non-ha-visto-niente” le risposi, con un filo
di risentimento. Lei sembrò capire e ribatté con un
sorrisetto un po' forzato.
Scesi dall'aereo e camminai fino all' aeroporto: lì
tutto era ordinato e tranquillo ma, in qualche modo, mi
sentii stringere lo stomaco: dov'erano i sospettati?
Dove erano finiti? Dovevo subito rintracciarli tutti.
Mentre Mauro stava parlando ad una guardia, spiegandogli
quanto era importante amare i Patrimoni dell' UNESCO,
andai a cercare tutti. Prima Kieran, il mio Watson, e lo
trovai con molta facilità, e poi cercammo gli altri.
Niente ladruncolo. Trovammo l'ometto e Pascal Rahremush.
“Che cosa le è successo?” chiedemmo all'uomo ancora
impaurito ma libero da qualsiasi bavaglio.
“Niente, io sono stato seduto tutto il tempo. Scusate,
ma devo andare.” Corse di fretta fuori e prese un taxi.
Poi spostammo lo sguardo verso il poliziotto. “Tutto
regolare” e si allontanò fischiettando.
5| I conti non tornano.
Io e Kieran ci guardammo
stupiti, poi lui mi disse: “Stanno coprendo qualcuno. Io
non mi fiderei del poliziotto.”
Lo guardai scettica. “E' per via della tua antipatia
verso la polizia?”
Lui mi rispose: “Per tutte le birre del mondo, no!
Stammi a sentire: è un viso familiare. Un volto losco.”
Io lo squadravo. Stavo per ribattere quando vedemmo un
biglietto a terra. C'era scritto a caratteri eleganti:
“Hotel Panama”. Noi sorridemmo, raggiunsi Mauro e gli
dissi che sarei andata un attimo all'albergo di Kieran
(ehi, è stata una piccola bugia a fin di bene, non
potete rimproverarmi!). Lui rispose di sì,
raccomandandoci di stare attenti; allora prendemmo un
taxi ed andammo all'Hotel Panama.
Arrivati, mostrai il mio documento alla receptionist,
che mi riconobbe come la sorella dell'Ispettore UNESCO,
le mostrammo il biglietto dell'albergo e lei annuì. Mi
sfuggiva il nome di quel poliziotto, allora dissi:
“Stiamo cercando un nostro amico africano”.
Le si illuminò il volto e disse: “Pascal Rahremush alla
217, Mohamed Gens alla 121.”
Udito il primo nome, scattai alla 217 e bussai alla
porta. Mi aprì l' ometto. “Mi scusi, Pascal Rahremush
dov' è?” Gli chiesi un po' perplessa.
Lui, ancora più perplesso, rispose: “Sono io Pascal
Rahremush!”.
“Mi scusi, ma ciò è impossibile: chi era allora il
poliziotto?”.
Lui si guardò intorno, circospetto, e poi disse: “Il suo
nome è Mohamed Gens. E' un pazzo. Pensavo di rivolgermi
alla polizia, ma lui mi ha imbavagliato e mi ha
trasportato nella cabina di controllo, mi ha imposto di
non dire niente, e minacciato con un coltellino
egiziano. Poi, quando lei mi ha chiesto spiegazioni io
non ho potuto dire niente, dato che c'era lui.”
Allora mi venne un lampo di genio e corsi al
Commissariato a consegnare il coltellino egiziano. Poi
ritornai alla 217 e cominciai a parlare con il vero
Pascal. Stavo per andarmene, quando una mano afferrò me
e lui. Kieran corse via, il che mi sorprese, ma non era
la cosa più sorprendente.
Mohamed Gens ci aveva rapiti.
Portati non so dove.
Anzi, forse lo so: nella sua stanza.
A chiave.
6| Aiuto, aiuto!
Mohamed chiuse la porta a
due mandate e disse a Pascal: “Cosa ti è saltato in
mente? Non ti hanno insegnato a non parlare a vanvera?
Scusalo, signorina, ma...”.
“Ma niente! Lei è un farabutto! Pascal Rahremush mi ha
raccontato tutto! Lei, è stato lei a imbavagliarlo.
Pascal mi ha detto tutto. E spero le sia ben chiaro come
a me che Pascal non è lei!”.
Il ciarlatano mi guardò male e disse, vendicativo e
nervoso: “Fantastico, ma io ho il mio piccolino.
Morirete all'istante, e non potrete raccontare nulla!
Ahaha!”.
Mohamed Gens si mise la mano nel taschino della giacca.
La infilò, sicuro. Frugò, preoccupato. Perlustrò la
tasca nella sua modesta grandezza, terrorizzato. Allora
capii che cosa stava cercando. Il coltellino! Ora era
tutto chiaro! Mohamed Gens era egiziano!
“Non credo lo troverai, il tuo amato coltellino... sai,
ti ho fatto una sorpresina. Ho pensato che sarebbe stato
meglio darlo alla polizia, dato che ho visto il tuo nome
intagliato. Ho raccomandato loro di controllare meglio
sul manico e... beh, credo che si stiano già mettendo al
lavoro per acciuffarti!”.
Mohamed era preoccupatissimo. Ormai non aveva via di
scampo.
L'avrebbero messo in prigione, non appena trovato. Ma mi
venne il dubbio che avessi fatto male a provocarlo.
“Almeno posso uccidere te” disse sempre più nervosamente
vendicativo. Mi si stava avvicinando. Mi avrebbe tirato
calci e pugni e sarei andata all'ospedale. Forse mi
restava poco da vivere, quindi contemplai un'ultima
volta quello che avevo: la vecchia giacca che avevo
messo a Lussemburgo, con tutte le corde e i bavagli con
cui mi avevano legata... Ma certo! Passai a Pascal le
corde e i bavagli e gli sussurrai, senza farmi notare,
di andare dietro a Mohamed, e poi dissi a Gens, con una
finta rassegnazione: “Ormai è finita per me...”.
Mentre lui rifletteva su questa mia disperazione così
improvvisa, Pascal gli legò le corde attorno a braccia e
gambe e lo fece sedere sulla poltrona. Semmai quello che
avevo detto poco prima valeva per Mohamed Gens, perché
nessuno di noi lo sapeva, ma la polizia era molto
vicina...
7| Kieran risolve la
situazione
Ora racconterò quello che
intanto succedeva al piano di sotto in base a quello che
mi ha raccontato Kieran.
Aveva chiamato l'UNESCO, la polizia e i carabinieri
all'albergo Panama. In più, erano venuti un sacco di
giornalisti e curiosi.
Si era ripetuta più o meno la stessa scena di prima,
quando siamo entrati io e Kieran, solo che avevano
dichiarato di essere degli addetti alla sicurezza
internazionale, componenti dell'UNESCO, giornalisti del
New York Times e de La Repubblica e gente venuta per
dare una mano nel ritrovare i reperti. Eh già, tutti
avevano letto la scritta in corsivo Mohamed Gens, cosa
non proprio furba da parte del ladro perché così lo
hanno rintracciato. Però all'inizio non sapevano proprio
dove andare, perché non sapevano di nessun ladro con
questo nome, ma Kieran ha indicato la strada, e chi con
taxi, chi con la propria macchina e chi con dei furgoni
sono arrivati in quell'hotel. Nel momento in cui stavamo
legando Mohamed, cioè alle 4:30 di pomeriggio, loro
stavano nella reception e chiedevano alla signorina di
prima: “Mohamed Gens alloggia qui, vero?”
Lei disse loro in che camera si trovava e loro si
diressero a passo di marcia verso la stanza numero 121.
Quando arrivarono, videro Mohamed legato come un salame,
lo slegarono e lo ammanettarono. Mentre lo portavano
via, io canzonai: “Beh, meno male che tu potevi
ammanettare in qualsiasi momento!”.
Lui mi guardò in cagnesco, ma non fu l'unico: l'altro a
guardarmi così era Mauro. “Mi sembrava che qualcuno,
Lisi credo, avesse promesso di non immischiarsi...”.
“Mai detto” dissi io, alzando le mani “ma anche se
l'avessi fatto, ho risolto il caso, giusto?”.
“Non posso darti torto” si arrese Mauro. Era questo il
modo per dimostrarci il reciproco affetto fraterno.
Mentre i membri dell'UNESCO aprivano i cassetti da cui
spuntavano quintali di reperti archeologici del Colosseo
(tra cui un pezzo di questo monumento!), Kieran mi si
avvicinò “Non sei niente male come detective” ammise.
“Però non ce l'avrei mai fatta senza di te, Watson!”
esclamai.
Ridemmo per un po', poi lui mi disse: “Charlie aveva
ragione su tutti, tranne che su di te. Sei proprio a
posto, al contrario di quello che ha detto lui. Beh...
che ne dici di scambiarci i numeri di telefono? Almeno
rimarremo in contatto.”
“Forse potresti venirmi a trovare, qualche volta. Ti
assicuro che preparo delle ottime frittelle, e a Mauro
stai molto simpatico.” Lui annuì e ci scambiammo i
numeri di cellulare, poi lo salutai.
8| Ritorno a casa
La missione era compiuta.
Tutto si era rimesso a posto. Ed in più, era estate, ed
eravamo liberi di fare ciò che ci andava. Ripensai
all'Irlanda, ai suoi prati verdi ed all'anno che avevo
passato lì e mi venne un po' di nostalgia, ancora una
volta. Ma poi guardai dal finestrino della macchina di
Mauro: avevo davanti una delle più belle città d'Italia,
con una storia incredibile e con tantissimi luoghi
stupendi. Roma, la città che mi aveva sempre ispirato
dolcezza e poesia, che ora profumava di pini, di fiori e
splendeva come una gemma. Ed ecco che, mista alla
nostalgia per l'Irlanda, c'era la voglia di riparlare
con Agla e Rebecca, di riabbracciarle, di leggere e
leggere e leggere sul divano.
Tutto questo stava per accadere: arrivata davanti alla
porta di casa, Roma aveva quel suo ammaliante cielo
sereno che riempie il cuore in quella bellissima
mattinata, e Agla e Rebecca erano davanti a me.
“Estateeeeeeeeeeeee!!!”, urlò Agla correndomi incontro
ed abbracciandomi.
“Ora ci devi raccontare tutto ma proprio tutto quello
che è successo!” si assicurò Rebecca.
Entrammo in casa e le mie amiche salutarono Mauro. “E'
davvero gentile tuo fratello!”, dissero in coro.
Io alzai gli occhi al cielo e feci una risata, da lì
cominciò il coro di risa che provocò la domanda di
Mauro: “Perché ridete?”.
“No, per niente, niente.”, disse Agla, che stava per
scoppiare a ridere – di nuovo –.
Poi però ci facemmo tutte serie e io cominciai a
raccontare: “Non sapete cos'è successo! E' stato
bellissimo il viaggio, davvero bello! Naturalmente mi
sono messa nei guai, ma procediamo con ordine... Ah,
incredibile, ho incontrato Kieran!”.
“Quel ragazzo irlandese che avevi conosciuto a
Lussemburgo?”.
“No! Incredibile!”.
“Lo so, incredibile! E poi, naturalmente, mi ha dato un
aiuto con le indagini!”.
“Di nuovo?!”.
“Vabbè, dopo ce lo dici meglio. Dài, racconta!”.
Quello era l'inizio di un'estate indimenticabile.
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