Il Mondo di Mauro & Lisi

 

 

 

 

 

 

 

 Sesto Prequel - LA MALEDIZIONE DEI PATKUL

 

LA MALEDIZIONE DEI PATKUL  
 

Letterkenny, Donegal, Irlanda
Casa di Lawrence Keane
Novembre 20...
Un anno circa prima de ‘Il complotto di Roma’’

Tutti dormivano in quella casa.
Forse.
O almeno fingevano di farlo.
Difficile indovinarlo.
La foto di Kieran Moynihan sui network di mezzo mondo aveva destabilizzato il gruppo. Violenza ancora più ingestibile, perché tutti, tutti, erano ancora sconvolti da quello che era accaduto appena la notte prima al Selciato del Gigante. Paura di morire. Paura di non riuscire. Paura di sentire.
Attimi di vita erano passati davanti agli occhi di tutti prima o dopo, durante quella maledetta notte. E non vi era nessuno che riuscisse a ragionare a mente lucida. Dopo i traumi, per quanto finiti bene, vi era sempre bisogno di tempo per rigenerare le energie. Per comprendere e capire.
E Maarja Tender, nata Patkul, ne era consapevole più di chiunque altro sotto a quel tetto.
La sua vita era costellata di inizi e fini violenti.


Haabneeme, Estonia
Febbraio 19...
Tredici anni e mezzo circa prima de ‘Il complotto di Roma’


Mani violente sbattute contro la porta chiusa a chiave.
“Fatemi uscire!”, urlava Maarja. “Fatemi uscire”.
La mano scendeva alla maniglia. Tentava di girarla. Di forzarla. Ma nulla si muoveva.
“So che state lì dietro! Rispondetemi”, continuava a picchiare con violenza la porta chiusa. “Liberatemi. Non ho fatto nulla. Il mio sangue non è maledetto”. Si girò. Cercò qualcosa. Afferrò con ira una sedia e la scagliò con tutta la forza che aveva in corpo (ed era notevole per una ragazzina di tredici anni) contro la porta.
Nessuna reazione.
“RISPONDETEMI!”.
Ma gli zii non replicavano. Forse si erano davvero allontanati. Ma ne dubitava.
Attendevano, pronti a farle nuovamente la predica. A dirle che il fatto che avesse usato con tale violenza la sedia era una chiara dimostrazione che il suo sangue era veramente maledetto.
Lo ripetevano da sempre.
Da quando era entrata in quella casa con sua madre anni prima, dopo la morte di suo padre. O meglio, dopo l’omicidio di suo padre. Fino a quando sua madre era stata in vita nessuno lo aveva detto a voce alta in sua presenza. Solo dopo gli zii avevano avuto quasi piacere di comunicarlo con la loro falsa pietà.
Ma lei non aveva pianto a quella rivelazione.
Lei lo sapeva perfettamente.
Lei era presente quel giorno.
Lei lo aveva visto morire davanti ai suoi occhi.
Lei aveva saputo da subito che suo padre era stato ucciso.
Anche se le motivazioni le aveva comprese solo dopo.
Anche quelle le erano state comunicate dagli zii, una volta che sua madre era morta.
“Era un Patkul”, la prima spiegazione. Come se quelle tre parole potessero aprire la mente di una ragazzina.
“Aveva sangue maledetto”, avevano aggiunto in seguito. Ma ancora una volta Maarja si era rifiutata di capire. Di accettare quelle parole.
“Un ribelle. Violento e ricercato”, aveva puntualizzato la zia avvolgendosi nel suo maglione blu come una notte senza stelle.
Infine Maarja aveva imparato ad alzare il mento a quelle insinuazioni e a chiudersi nella sua camera.
Aveva amato suo padre oltremisura. E per quanto i ricordi iniziassero a sbiadirsi e a miscelarsi con pensieri e sogni, il suo affetto per lui non affievoliva. Anzi. Si rafforzava. Ancor di più quando sentiva quelle accuse.
Ma con il tempo aveva capito che l’arma migliore era non replicare. Gli zii provavano un sottile godimento quando lei rispondeva e continuavano a tormentarla con frecciate sempre più velenose. L’alterigia e la fierezza, invece, li destabilizzavano più di mille risposte.
Questo tuttavia non significava che quelle parole non arrivassero a destinazione. Le odiava. Come odiava gli zii. Ma al momento non poteva fare nulla. Solo sopportare e attendere il giorno in cui sarebbe stata grande abbastanza per andare via e decidere di non vederli mai più. E soprattutto quando avrebbe avuto la possibilità di scoprire chi fosse realmente suo padre. E cosa vi fosse di sbagliato nei Tender e nei Patkul. E perché il loro destino non potesse incrociarsi.
Una volta lo zio, inspiegabilmente infuriato perché l’aveva trovata mentre faceva degli schizzi di conchiglie, si era lasciato sfuggire “Mia sorella non avrebbe mai dovuto neppure guardarlo un Patkul. Figuriamoci averci una figlia” ed aveva gettato i suoi fogli nel fuoco. “Lo sapeva che i Tender e i Patkul non potevano unirsi. O ne sarebbe nato solo del male”.
Per quanto Maarja avesse chiesto spiegazioni, lo zio o la zia mai avevano toccato nuovamente l’argomento. Avevano ripetuto solo che i Patkul erano maledetti. E così era anche lei, per quanto sua madre le avesse cambiato il nome in Tender una volta entrate in quella casa.
Maarja serrò le labbra e strinse i denti, fissando quella porta chiusa.
Doveva calmarsi. Dominarsi.
Non poteva permettere agli zii di provocarla così ogni volta che accadeva qualcosa che non era di loro gradimento. Il che capitava quasi sempre, tra l’altro.
Aveva solo chiesto chi era l’uomo sconosciuto a cui aveva aperto la porta.
Avrebbero potuto non risponderle, come facevano spesso.
In effetti avevano provato a farlo. Ma lei aveva ripetuto con fierezza la sua domanda.
A quel punto gli zii le avevano ordinato di andare nella sua stanza. Ma lei aveva un corso di ceramica da lì a poco. Non poteva mancare.
“Il tuo maledetto corso di ceramica”, le aveva gridato lo zio come se la sua passione lo dissanguasse. Come se non fosse un corso organizzato dalla scuola. Come se i suoi ottimi risultati non alzassero la sua pagella.
“Di’ quello che vuoi, io ci vado”, aveva ribattuto alzando il mento.
Lo zio aveva chiuso la porta del salone dove l’impettito uomo vestito di nero era rimasto immobile come se nulla fosse accaduto. Poi l’aveva afferrata per il polso e trascinata nella sua camera.
Aveva tentato di svincolarsi, ma l’aveva schiaffeggiata e l’aveva spinta contro la sedia.
Non aveva fatto in tempo a correre verso la porta, che la maniglia già era stata bloccata.
“Che Dio non voglia che io sia davvero maledetta. O diventerò la vostra nemesi”, disse a voce alta. “Che Dio non voglia”.


Letterkenny, Donegal, Irlanda
Casa di Lawrence Keane


Maarja alzò il braccio. Il polso dove vi era stato il braccialetto avvelenato di Malid era ancora rosso dopo quasi ventiquattro ore. Vi posò le labbra e lo baciò lentamente.
Quando avevano digitato la combinazione, non aveva pensato neppure per un attimo che si sarebbe salvata.
Si era convinta che, infine, la sua vita era giunta alla conclusione.
Non aveva avuto paura del dolore. Ne aveva provato tanto nel corso degli anni. Sia nel corpo che nell’anima.
Sarebbe stato solo l’ultimo.
Tutto era iniziato il giorno in cui suo padre era stato ucciso...

      (segue...)


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